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UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI
(UN LONG DIMANCHE DE FIANCAILLES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 febbraio 2005
 
di Jean-Pierre Jeunet, con Audrey Tautou, Gaspard Ulliel, Jodie Foster (Francia, 2004)
 
Quando appare un film come l'ultimo dell'autore di IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIE bisognerebbe festeggiare. Il ritratto di questa ostinata ed appassionata Penelope che nella cornice feroce della prima Guerra Mondiale non si rassegna all'idea della scomparsa del proprio amato (Audrey Tautou, ancora un'Amélie che non rinuncia all'innocenza borghese ma che si perita di partire a Parigi per assoldare un investigatore privato), contiene infatti tutti gli elementi in assenza dei quali, noi europei, regolarmente abdichiamo nei confronti di un cinema più universale. Quello che riesce a far recepire la forza delle proprie immagini, vicende, personaggi oltre ogni frontiera; quello che ha fatto, per intenderci, le fortune del cinema americano.

L'amalgama di UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI è insomma perfetto. C'è il coraggio di pensare alla grande; e pure il talento di comporre nella qualità. Una produzione impeccabile, che ricostruisce l'inferno delle trincee o la Parigi dei primi anni Venti con un uso mai eccessivo delle tecniche digitali. Uno sguardo mai banale: una formula che attinge ai sapori del passato per ricostruirli in un presente forgiato dall'esperienza di Jeunet nel campo della grafica fantastica e dell'animazione. Nel tanto celebrato da essere sospetto AMELIE il passato era la seduzione del realismo poetico caro ai capolavori di Carné e Prévert, cassiere e fidanzatine, bar di periferia e lungosenna, mercatini e pensionati, clown tristi e gag alla Truffaut – Léaud; attualizzati in discreta salsa postmoderna nelle invenzioni trova-oggettistiche che il regista predilige dai tempi più arrabbiati dei gorgoglii sgocciolanti, delle tubature negli scantinati di DELICATESSEN.

La novità, e non da poco, di UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI è invece il proprio impegno civile e umanistico. Evacuata la nostalgia populista, se non proprio l'artigianato d'epoca, il passato è ormai quello degli orrori della Grande Guerra. E se la novella Amélie continua a sospirare nelle trasparenze di una Bretagna fiorita e nello charme d'epoca caro al romanzo di Sebastien Japrisot, le priorità vanno al ricordo del macello perpetrato dai nostri nonni nell'obbrobrio delle trincee del fronte franco-tedesco. Scolora nel fango il sangue dei poveretti giustiziati dai propri compagni poiché sospetti di automutilazioni: e se la drammaturgia non può assumere le cadenze implacabili di quelle del Kubrick di ORIZZONTI DI GLORIA, gli sbudellamenti ai confini di un compiacimento postmoderno del grafico Jeunet aggiungono pagine sempre utili ai capitoli sempre attuali dedicati all'antimilitarismo.

La nostra ammirazione va tutta all'affresco sempre generoso, appassionato e necessario che il regista costruisce all'interno di un proprio, indiscutibile universo estetico. Paradossalmente, per tutta una serie di dettagli cosi impercettibili da apparire misteriosi, da un cinema come questo, giustamente popolare nell'universo di banalità gratuite offerte da quello quotidiano, si esce ammirati e rispettosi, ma non proprio emozionati. Forse perché in ogni sequenza si sente prima lo sforzo di costruire e stupire che non quello di significare e commuovere; forse perché un po' lungo e ripetitivo, ad immagine della paziente attesa della sua eroina; forse perché troppo ricco di ricostruzioni e divagazioni scenaristiche UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI finisce per essere ciò che sicuramente non voleva, un bell'oggetto.


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